di Antonio Sarnacchioli
La guerra è finita! Finalmente! Cominciano a tornare a casa i soldati e i prigionieri dai vari campi di concentramento, alcuni vicini, altri lontanissimi. Alla stazioncina, Madonna del Piano, scendono dal treno uomini invecchiati, magrissimi, a malapena coperti da logore uniformi irriconoscibili. “Non si vedeva l’ora di tornare a casa ... ma la strada di casa non si vedeva più. Si doveva solo pensare che se avevi grazia ritornavi a casa ... se non l’avevi morivi lì ... e alla fine ci hanno rimpatriato”. E’ l’amaro ricordo di un internato che racconta la sua esperienza in uno dei tanti lager nazisti dove gran parte dei nostri soldati trascorsero a volte lunghi anni di sofferenza e di indicibile umiliazione.
Per mesi, e in alcuni casi per anni, si è atteso il ritorno dei soldati; qualcuno non è più tornato, di altri non si è saputo più nulla, solo una rara e incerta testimonianza di qualche compaesano che l’ha visto per l’ultima volta in località straniere dai nomi impronunciabili. E’ successo pure che qualche ex-internato si è presentato a Capranica quando ormai era stato dato per morto e nessuno più lo aspettava. Una vecchia madre finché le forze glielo hanno consentito, tutte le sere guardava dalla finestra di casa per spiare se mai suo figlio partito per la guerra tornasse. Nessuno ebbe mai il coraggio di dirle che il suo ragazzo i compagni l’avevano dovuto lasciare in un ospedale molto malato all’arrivo dei partigiani di Tito.
Tutti quelli che ebbero grazia di respirare di nuovo l’aria del paese e abbracciare finalmente i familiari in lacrime, porteranno per sempre dentro di sé ricordi di una immane e incomprensibile tragedia. Ma la popolazione restata tra le fidate mura del paese non trascorse certo durante il conflitto una esistenza invidiabile e priva di pericoli. Le notizie che giungevano dai fronti di guerra tenevano sempre desta l’attenzione e l’angoscia delle famiglie. Tutti, più o meno, avevano figli, mariti o parenti in armi e dopo l’effimero patriottico entusiasmo iniziale per la guerra, si capì che questo era un brutto affare che tutti coinvolgeva.
Quando poi incominciarono i bombardamenti alleati, e la presenza dei tedeschi dopo l’8 settembre si fece troppo pesante, e il cibo cominciò a scarseggiare, neppure i più affezionati al regime poterono coltivare qualche speranza di salvezza. Il momento più tragico tuttavia si raggiunse nel novembre del ‘43, quando caddero, per mano delle SS di stanza a Bracciano, 17 soldati sardi e 3 giovani capranichesi. L’orrore e il dolore e la paura furono indescrivibili. Ci fu poi la ritirata dei tedeschi incalzati dagli alleati, con il suo doloroso strascico di violenze e uccisioni di innocenti. Come in altre parti d’Italia, anche a Capranica si attese la liberazione dal di fuori, non ci fu alcun accenno di resistenza, né gesti concreti di ostilità contro le truppe di occupazione, malgrado la generale antipatia e terrore che queste suscitavano in tutta la popolazione.
A distanza di tanti anni oggi dobbiamo ritenere che forse fu un bene non ostacolare la ritirata degli ex alleati molto determinati e feroci, in modo che se ne andassero al loro destino in fretta e senza provocare ulteriori danni alla popolazione già tanto provata, evitando quelle rappresaglie che funestarono un po’ tutta l’Italia. Il fatto è che ‘come non si era opposta fieramente al regime fascista, la popolazione capranichese, non prese iniziativa nella liberazione. Tutto pioveva dall’alto. Quello in cui invece si distinse la nostra buona gente fu, secondo la più genuina tradizione, l’accoglienza dei profughi, provenienti soprattutto da Civitavecchia, dei soldati sardi in attesa di imbarcarsi per la propria isola, di famiglie di ebrei perseguitati.
Qui veramente Capranica scrisse una delle più belle pagine della sua storia. Senza tanti calcoli, aprì le case e il proprio cuore a chi aveva bisogno, dividendo molto spesso lo scarso pane con chi non aveva più nulla. Innumerevoli sono gli episodi di generosità, di fraterna amicizia, solidarietà, fino all’estrema prova della morte, come è capitato ai tre giovani fucilati insieme ai loro coetanei sardi. Senza sentirsi eroi Antemio Baldi, Virgilio Andreotti e Salvatore Alessi semplicemente non se la sono svignata, condividendo la sorte degli altri. Reparti tedeschi in ritirata attraversarono Capranica nei primi giorni di giugno del ‘44. Il presidio che si era inserito nelle villette intorno al paese, fuggì disordinatamente lasciando molto materiale bellico e oggetti rubati altrove. Forse i tedeschi intendevano contrastare l’avanzata alleata facendo saltare con l’artiglieria le case lungo la Cassia. Di fatto il semovente postato sul rettifilo davanti alla porta del paese (attuale stazione di servizio) non tirò un colpo e fu abbandonato. Tra la fuga dei tedeschi e l’arrivo degli alleati vi furono momenti di eccitazione e di panico, quando un autocarro carico di soldati germanici comparve all’improvviso sulla Cassia in direzione del paese. Ma l’autista che probabilmente aveva sbagliato la direzione della ritirata, accortosi del movimento della folla, girò il mezzo e si allontanò. Era 1’8 giugno del ‘44. Il grosso della colonna che avanzava sulla Cassia, era costituito da Americani, Neozelandesi e Francesi. Accolti da dimostrazioni di gioia, gli Americani gettavano dalle camionette sigarette e caramelle. Un incubo era terminato.
Si ricostruì un’amministrazione democratica e si rifondarono i partiti politici sciolti dal fascismo. A un democristiano, l’avvocato Pietro Lazzè, antico popolare, fu affidato dal CLN il comune.
A distanza di sessanta anni(*) ci domandiamo se ha ancora valore la celebrazione del 25 Aprile, dato che la generazione che l’ha vissuta non esiste ormai più. Si ripete spesso che serve ricordare perché i giovani sappiano quanto è costata la libertà e il benessere di cui forse inconsciamente oggi vanno fieri. Però, per quelli come me che erano troppo piccoli allora per capire, ma tanti racconti di sofferenza e speranza hanno ascoltato, un interrogativo resta: perché una libertà ottenuta dopo la dittatura del fascismo, l’orrore della guerra e la lotta partigiana è stata così troppe volte travagliata e funestata nei lunghi anni che seguirono da innumerevoli episodi di violenza, egoismi e incomprensioni politiche? Questa nuova Nazione generata dal dolore, non aveva diritto a coltivare le più belle speranze di pace, di libertà, di progresso, di giustizia e di fratellanza? Allora, forse la celebrazione del 25 aprile servirà ancora oggi a riscoprire quegli ideali per i quali tanti giovani versarono generosamente il loro sangue, e ci si convinca tutti che costruire la pace è un impegno che va attuato giorno per giorno nella concordia e nella solidarietà.
(*) L'articolo è stato originariamente scritto per la commemorazione del 25 aprile dell'anno 2004, a cura del Comune di Capranica.
Per citare questo articolo
SARNACCHIOLI, Antonio «25 aprile: non si vedeva l’ora di ritornare a casa», Capranica Storica, 25/04/2020 - URL: https://www.capranicastorica.it/2020/04/25-aprile-non-si-vedeva-lora-di_25.html
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