di Fabio Ceccarini
Il dorso della croce lignea che sostiene il Crocifisso venerato nella Collegiata di San Giovanni Evangelista, reca una piccola targa metallica sulla quale sono riportate le date di quelle rare occasioni in cui questo sacro simulacro è stato portato in processione per le vie di Capranica dall’Arciconfraternita del SS Sacramento. Infatti, fino al 1984, e cioè fino all’anno in cui l’Arciconfraternita, con il benestare della Soprintendenza delle Belle Arti, stabilisce di portarlo in processione ogni anno la prima domenica di maggio, il monumentale Crocifisso Cinquecentesco non esce mai dalla sua teca se non in casi straordinari ed eccezionali.
Questa eccezionalità è anche testimoniata dal fatto che prima di quell’anno, la Santa Croce non è dotata di una propria macchina processionale. Quando, per esempio, la Sacra Immagine viene portata in processione nel 1933, in occasione dell’Anno Santo Straordinario della Redenzione, indetto da papa Pio XI, nella ricorrenza del 1900° anno della passione e morte di Gesù Cristo, per questo scopo viene utilizzata l’imponente e pesante macchina processionale del patrono di Capranica, San Terenziano.
La Santa Croce in occasione del trasporto straordinario del 1933 |
Ebbene, tornando alla nostra targhetta metallica, tra le date in essa riportate ne troviamo alcune che testimoniano l’affidamento del popolo di Capranica al supremo patrocinio del Crocifisso in concomitanza del verificarsi di calamità naturali o gravi fatti che mettono in serio pericolo la vita dei Capranichesi e la sopravvivenza stessa della Comunità. Da questo punto di vista, particolarmente interessanti sono le date relative ai trasporti della Santa Croce in occasione dell’imperversare di epidemie e malattie mortali che flagellano il territorio circostante. Come per esempio il 23 Agosto del 1837, quando il SS. Crocifisso viene portato in processione per difendere la popolazione dal colera “morbus” che infesta alcune città vicine. O quando negli anni dal 1862 al 1865 viene spesso portato ancora in processione per difendere Capranica dalle epidemie di febbre “terzana e quartana sub continua” che causano molte vittime tra gli abitanti.
L’EPIDEMIA DA COLERA MORBUS
L’epidemia di colera che arriva a Capranica nell’estate del 1837 viene da molto lontano, anche se il suo sviluppo è tutt’altro che veloce. Ha origine addirittura in India nel 1818 e si diffonde dapprima nel resto del continente asiatico nel corso del 1820. Da qui si propaga in Africa e in Russia, da dove invade inesorabilmente l’Europa, anche se alla sua diffusione nel Vecchio Continente contribuiscono le navi commerciali inglesi provenienti dall’Asia. Nel 1835 dalla Francia passa quindi in Italia attraverso il Regno di Sardegna e si propaga per tutta la Penisola. Nello Stato Pontificio arriva nel 1837, proveniente da Sud, varcando le frontiere con il Regno di Napoli: quella stessa Napoli dove muore Giacomo Leopardi il 14 giugno, molto probabilmente proprio a causa del colera. Solo nella città di Roma l’epidemia causa circa 5.500 morti. Non abbiamo molte notizie di quel che succede a Capranica a causa del colera, e tuttavia dobbiamo immaginare che questo terribile morbo abbia preoccupato non poco la popolazione, tanto da indurre le autorità ecclesiastiche del Paese all’esposizione della Santa Croce. Alcune notizie sul colera le possiamo comunque trarre dai sonetti di Giuseppe Gioacchino Belli. Su questo tema ci lascia ben 34 componimenti, dal titolo Er colléra mòribbus. Il Poeta gioca nel titolo sull’assonanza delle parole colera con collera (il riferimento è alla collera divina che in questi frangenti di calamità viene sempre tirata in ballo da qualche apocalittico), e delle parole morbus con moribbus («perché se more», come scrive in uno di questi testi). I sonetti del Belli costituiscono oggi altrettante fotografie davvero gustose sull’espandersi dell’epidemia, che riportano particolari attualissimi e totalmente accostabili alla situazione che stiamo vivendo in questi mesi: la gente che finisce al cimitero in massa per una malattia venuta dall’Oriente; Roma che rimane senza l’officio delle sante messe a causa dell’epidemia; i lavoratori preoccupati che si interrogano: «Morire di malattia o di fame?»; i politici che prendono misure un po’ alla cieca; le informazioni che vengono più o meno artatamente nascoste al popolo da chi comanda; e i social dell’epoca scatenati – le osterie, il mercato, i lavatoi pubblici… – dove vengono scambiate notizie vere ma anche tante false – fake diremmo oggi – queste ultime anche in chiave di improbabili “dritte” su chi ci sia veramente dietro il contagio, o sui modi più infallibili per non infettarsi o per guarire…
Carta della diffusione della malaria in Italia - Torrelli, 1882 |
FEBBRI MALARICHE TERZANE E QUARTANE
Come testimonia la targhetta metallica, la Santa Croce della chiesa di San Giovanni viene portata in processione anche negli anni tra il 1862 e il 1865 per scongiurare la fine di febbri terzane e quartane che affliggono il popolo e mietono numerose vittime. Le febbri terzane e quartane sono febbri di ceppo malarico, il cui responsabile è il batterio del plasmodium malariae che si diffonde attraverso il vettore della zanzara anopheles e la sua puntura, e vengono così definite a seconda dei giorni di assenza del sintomo febbrile che si ripresenta a cicli di tre (febbri terzane) o di quattro giorni (febbri quartane). Anche in questo caso, oltre alla fugace notizia che ci giunge dalla nostra preziosa targhetta, non possiamo dire molto di più, perché sarebbe necessaria una indagine sui libri degli stati d’anime dell’archivio parrocchiale di Capranica, che però, essendo custodito presso l’Archivio Vescovile di Nepi, non è stato ancora possibile indagare. Tuttavia, da una carta del 1882 (Carta della malaria dell’Italia, redatta a cura dell’Ufficio Centrale del Senato del Regno d’Italia per lo studio della legge sulla malaria), sappiamo che la zona di Capranica, a sud dei Cimini, viene ancora considerata ad alto rischio di diffusione di questa malattia.
L’INFLUENZA SPAGNOLA
E veniamo alla famigerata influenza spagnola e alla sua comparsa a Capranica. Anche se in questo caso non abbiamo testimonianze dell’esposizione della Santa Croce – e forse perché l’epidemia aggredisce la popolazione di Capranica in autunno, in concomitanza con la vendemmia, e fino agli inizi dell’inverno –, i libri dei morti, custoditi nel Fondo delle parrocchie di Capranica conservato, come già accennato, nell’archivio diocesano di Nepi, e i libri dei morti dello Stato Civile del Comune di Capranica, ci danno una serie di interessanti notizie sulle quali vale la pena soffermarsi. Tralasciamo, tuttavia, gli aspetti storici – a cui rimandiamo – in merito alla diffusione di questa tremenda epidemia e alla sua mortalità. Ai nostri fini diciamo soltanto che dall’osservazione dei grafici sulla mortalità della “spagnola” si nota come questa sia notevolmente più alta di quella causata dall’influenza stagionale. Dagli stessi grafici, inoltre, si possono osservare evidentissime punte in corrispondenza dell’età pediatrica, della fascia degli anziani ultra-settantacinquenni, e della popolazione appartenente alla fascia giovanile/adulta tra i 25 e i 34 anni, dove si toccano picchi di 1.000 individui morti ogni centomila colpiti (1%). Inoltre, è interessante notare che l’apice della mortalità dell’epidemia viene raggiunto intorno alla fine di ottobre del 1918 con una sua maggiore incidenza in ambito anglosassone – Stati Uniti ed Inghilterra –, piuttosto che nel resto del continente europeo (vedremo tra poco come anche a Capranica l’andamento della curva della mortalità sarà più o meno sovrapponibile a quello mondiale).
Andamento demografico di Capranica nel decennio 1911-1920 |
Dai libri dello Stato Civile di Capranica si possono ricavare i dati della popolazione del paese nel decennio tra il 1911 (anno del censimento generale) e il 1920. Nel 1911, Capranica conta 3.304 abitanti, mentre 10 anni dopo, al censimento del 1921, la popolazione è aumentata fino a 3.754 abitanti. Si nota però con tutta evidenza, che il saldo nati-morti rimane nel decennio sempre saldamente in attivo, nonostante gli anni della Grande Guerra e i morti al fronte, ad eccezione di quello relativo all’anno 1918. Infatti, da saldi positivi di oltre 70 unità negli anni prima dell’inizio della Grande Guerra, in concomitanza degli anni del conflitto si scende a saldi, pur sempre positivi, di circa 15/20 unità. Il saldo sprofonda improvvisamente a -66 nel 1918, per risalire faticosamente ad un +10 nel 1919, ed attestarsi finalmente negli anni successivi, dopo un vigoroso rimbalzo a +125 nel 1920, ai medesimi livelli degli anni precedenti la guerra. Il decennio 1911-1920 si chiude quindi con una media dei nati pari a circa 123 individui/anno e quella dei morti a circa 84 individui/anno (con una deviazione standard, ovvero il valore che in matematica statistica serve a restituire il campo di variabilità di una media, pari a 20,21 – non si scandalizzino gli statistici per la spiegazione fin troppo semplicistica di questo importante indicatore).
Andamento mensile dei morti durante l'anno 1918, quello di massima diffusione dell'epidemia a Capranica |
La prima indicazione che ci giunge dai libri dello Stato Civile, completata dai libri parrocchiali dei morti delle due parrocchie capranichesi di San Giovanni Evangelista e di Santa Maria Assunta, è quindi relativa all’abnorme picco di mortalità che si verifica nel corso del 1918 (e che sfonda il limite di variabilità della media indicato dalla deviazione standard, di una quantità di morti pari a circa il doppio). Durante l’anno 1918 la mortalità si mantiene tutto sommato nella media nei mesi da gennaio ad agosto, allorché nell’ultima decade di settembre prende a crescere improvvisamente fino ad impennarsi esponenzialmente nel mese di ottobre (31 morti) e scendere lentamente nei due mesi successivi di novembre (24 morti) e dicembre (23 morti). Tornerà all’interno della media nel gennaio del 1919. Alla fine di settembre 1918 l’epidemia fa quindi il suo esordio (tutt’altro che trionfale) a Capranica con la morte, il 24 del mese, di certa Giovannini Lucia, di anni 61, abitante in via Castelvecchio. Nel breve tratto di 5 giorni muoiono 6 persone, ma non si ritiene ancora che la causa dei decessi sia legata all’influenza spagnola. Nei libri dello Stato Civile non è infatti riportata la causa della morte, che invece viene indicata nei libri dei morti delle due parrocchie. E per Giovannini Lucia, la causa del decesso è ancora “diuturno morbo conficta”. Dopotutto, dal libro dei morti della parrocchia di Santa Maria Assunta, si può ben vedere come la povera donna sia il decimo morto nell’anno, mentre si è già all’inizio dell’autunno. Fino alla fine di dicembre i morti della parrocchia saranno invece 33, con ben 24 morti nell’arco di soli tre mesi, contro i 9 registrati nei primi nove: una media di uno al mese.
Il 18 ottobre, il Sindaco Nazzareno Porta riferisce con un drammatico telegramma
alla Prefettura di Roma: "Influenza infierisce ora maggiormente casi
letali - 8 morti pochi giorni. occorrono urgentemente disinfettanti
medicinali personale aiuto medico - medico farmacista. Arrivata squadra
soldati pulizia paese mancano disinfettanti. Ripetesi domanda aumento
macellazione approvvigionamento carne".
Bisogna arrivare al 23 ottobre, con la morte di Luigia Rosa, una giovane donna dell’età di 24 anni, figlia di Stefano e sposa di Giuseppe Carrazza, abitante in vicolo della Speranza, affinché nel registro delle morti della parrocchia di Santa Maria appaia come causa “morbo epidemico hispano corrupta”. La “spagnola” è stata riconosciuta come causa di morte anche a Capranica. Più avaro di notizie del suo confratello di Santa Maria è l’arciprete di San Giovanni Evangelista, mons. Sante Formaggi, che nella redazione degli atti di morte non nomina mai l’epidemia spagnola, preferendo indicare causa del decesso un più generico “gravissimo pectore morbo corrupto”. L’epidemia non guarda in faccia nessuno, e colpisce indifferentemente contadini e possidenti in varie zone del paese. A Capranica la mortalità è perfettamente sovrapponibile a quella mondiale: la fascia degli ultrasessantacinquenni è colpita con 15 morti; gli adulti-giovani tra il 35-44 anni con 14 morti; i bimbi in età pediatrica 1-4 anni con 12 morti. La popolazione più giovane da 1 a 44 anni, ne esce falcidiata con 59 morti, pari al 64% del totale di 92, con una leggera prevalenza delle femmine (52%) sui maschi. Intere famiglie vengono sterminate, come quella di Vincenzo Deluca, colono di 40 anni, e sua moglie Domenica Bini di 34, che spirano a qualche ora di distanza tra il 29 e il 30 ottobre 1918. Nella famiglia Deangelis, abitante in vicolo della Fontana, muoiono entrambi i figli, Luigi di 9 anni e Chiara di 11, che se ne vanno rispettivamente il giorno 10 e il giorno 12 novembre 1918.
Morti per fasce di età |
La famiglia Crocicchia è la più colpita, con 7 suoi membri, seguita dalle famiglie Lanzalonga e Rosa (4 morti ciascuna). Interessante, infine, è vedere come l’epidemia si diffonda all’interno del paese e colpisca determinate zone evidentemente più affollate di altre. A Castelvecchio muoiono 20 persone, alla Viccinella 12, al Borgo e dintorni solo 4, all’Ospedale San Sebastiano 6. L’ultimo a morire di spagnola nella sua casa di via Castelvecchio il 6 gennaio 1919, sarà Anselmo Crocicchia, un giovane possidente di 34 anni. Anche in questo caso, il parroco di Santa Maria annota: “epidemico morbo hispano corruptus”. Da qui in poi Capranica torna a vivere nella più assoluta normalità.
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CECCARINI, Fabio, «Le epidemie a Capranica: dal colera del 1837 alla “spagnola” del 1918», Capranica Storica, 14/12/2020 - URL: https://www.capranicastorica.it/2020/12/le-epidemie-capranica-dal-colera-del.html
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