di Paolo B. Nocchi
Non nascondo la sorpresa e, un po’, l’emozione nello “scoprire” due belle vedute di Capranica fuori porta durante una visita serale al nuovo e attraente Museo di Palazzo Doebbing a Sutri. I due dipinti fanno parte dell’apparato decorativo del salone nobile e credo siano sconosciuti ai Capranichesi. Le belle scene rappresentate mi hanno spinto a rendere pubblica la loro conoscenza unitamente ad una ricerca sul contesto storico e paesaggistico della località Madonna del Piano che per secoli ha costituito un importante polo storico-artistico religioso di Capranica, fondale prospettico dalla Porta del paese e per chi proviene da Roma, nonché luogo di tradizioni religiose e di socialità popolare.
L'angolo del salone d'onore con le due vedute di Capranica
Il principe dell’Episcopio di Sutri
Il nuovo museo di Sutri prende il nome da Joseph Bernardo Doebbing, uomo e religioso colto, dell’ordine dei francescani, che è stato vescovo della Diocesi di Nepi e Sutri dal 1900 al 1916. Nato in Germania nel 1855 prese i voti dell’ordine dei francescani , fu professore di filosofia e lavorò alla riforma degli studi filosofici e teologici. In un soggiorno a Capranica conobbe la Tuscia e nel 1900 fu eletto vescovo. Monsignor Doebbing, uomo di “grande fede e sofisticata cultura”, restaurò il palazzo vescovile di Sutri, promuovendo il rinnovamento della chiesa locale. l’Episcopio di Sutri è il risultato di una serie di trasformazioni ed ampliamenti avvenute in più fasi, sul primitivo nucleo rettangolare risalente al XIII secolo. Ebbe una importante fase di ristrutturazioni dalla seconda metà del quattrocento all’inizio del seicento. Successivamente, il vescovado con la perdita della centralità religiosa e la crisi economica conobbe il suo declino fino a cadere, nell’ottocento, in uno stato di abbandono.
Le cose cambiarono con l’arrivo di Monsignor Doebbing e il suo un alto senso del ruolo ecclesiale, culturale, sociale e politico di un vescovo nella sua diocesi. Il nuovo vescovo modificò radicalmente l'immagine dell’Episcopio nel corso del suo incarico e a lui si deve l'attuale struttura del Palazzo di stampo neogotico ed ispirazione militare caratterizzata dagli spalti merlati, con le strutture del giardino, gli arredi e le finiture di stampo nord europeo. I lavori terminarono nel 1908.
Per il suo attivismo Joseph B. Doebbing si trovò a scontrarsi con una parte del clero e soprattutto con le elites locali di spirito risorgimentale (soprattutto di Sutri e Capranica) che lo accusavano di essere un nostalgico del potere temporale della Chiesa. A seguito della grave accusa di collaborazione con il nemico tedesco in guerra ne fu chiesto l’allontanamento dalla cattedra episcopale. La sua morte, nel 1916, sopraggiunse a porre fine all’ l'iter della sua destituzione governativa.
“La ristrutturazione, ma sarebbe meglio dire la ricostruzione, del palazzo episcopale di Sutri, rappresentò un'operazione dai forti connotati ideologici, quasi un programmatico piano di battaglia. La nostalgia per il mito della cristianità medievale, tipica dell'intransigentismo cattolico ottocentesco, l'amore della cultura tedesca dell'Ottocento per il Medioevo si saldarono, in lui, sino a spingerlo a reiventare per sé e per il suo lavoro di riconquista della società locale una dimora dagli evidenti connotati di fortezza medievale. La presenza della merlatura cosiddetta "guelfa", la possanza dei bastioni, la continua riproposizione del suo stemma episcopale rappresentarono altrettanti segnali.. l'edificio uscito dalla ricostruzione di inizio Novecento riproduce fedelmente lo spirito del tempo e quello dell'uomo e del vescovo che lo ha voluto”. (1)
L’Episcopio di Sutri in due cartoline, prima e dopo i lavori che convertirono il semplice edificio in palazzo con l’aggiunta di merlature, della torre dell’orologio e della balconata
Anche il ciclo pittorico del salone al piano nobile, che funzionava da studio, riflette questa concezione tipicamente ottocentesca di un secolo nel quale la produzione artistica subì in maggior misura l’influenza del passato, ispirandosi ad esso in molteplici settori, dall’arte decorativa all’architettura. Questa tendenza, ricondotta sotto l’indicazione generica di “eclettismo”, è composta da diverse correnti spesso legate a riferimenti culturali e neostili tra i quali emerse il Neomedievalismo per la ricchezza di contenuti che trasmetteva, nel nostro caso il riferimento decorativo è di tipo classicista.
La sala, ove ci accoglie il ritratto elegante di Monsignor Doebbing, è un ambiente dipinto che rappresenta la sua visione.
Il progetto decorativo dell’ambiente, opera di Giuseppe Danti, è costituito da un soffitto a cassettoni sopra una partitura architettonica con funzione decorativa: in alto un fregio continuo di tele che illustrano le proprietà della diocesi “sostenuto” da una serie di paraste con dipinti allegorici classicisti. Le tele su pannelli applicati ad un supporto ligneo rappresentano vedute prospettiche dei beni monumentali e territoriali della Diocesi. Si vedono, fra le altre, le vedute del palazzo di Sutri prima e dopo l'intervento di trasformazione in castello merlato e turrito, come appare nella foggia attuale: in basso la firma datata dell’autore: Giuseppe Danti fece 31.5.1910
Vedute e paesaggio di “Pian della Madonna” e della “Villa del Vescovo”
Le due vedute capranichesi, con prospettiva dal Paese, sono molto belle e raffinate.
Appaiate in un angolo del salone, sono in continuità con le altre contornate da un apparato decorativo allegorico di putti e ghirlande. Riproducono fedelmente gli edifici e lo stato dei luoghi. Sono state realizzate in un’epoca in cui la fotografia, che aveva fatto progressi, ci ha lasciato testimonianza degli stessi luoghi ed è quindi possibile fare un confronto tra i due tipi di rappresentazione e contestualizzarle anche con i rilievi mappali riconducibili alle condizioni dell’epoca. Va anche detto che pittura e fotografia in quel tempo si influenzarono a vicenda e a cavallo dei due secoli molti pittori, come il celebre Ettore Roesler Franz che fu il primo a servirsi della macchina fotografica per la sua “ Roma Sparita”, utilizzavano le riprese fotografiche come base e documentazione per la fedele riproduzione pittorica della scena rappresentata e per meglio focalizzare tutti i particolari delle vedute. E’ quindi probabile che Giuseppe Danti si sia servito dell’ausilio di una macchina fotografica.
Il dipinto della Chiesa, su una parete d’angolo, è racchiusa in una cornice dorata che contiene la scritta S. Ma. PLANI. CAPRANICAE con l’allegoria della sua funzione liturgica rappresentata da due putti alati posti ai lati del dipinto, impegnati uno con il Turibolo per l’incenso e l’altro di fronte con l’Ostensorio per le ostie consacrate, intorno un ricco e continuo festone di foglie sempreverdi avvolto da un nastro dorato. (Il dipinto misura cm 100x 143).
La veduta prospettica mostra un paesaggio strutturato dall’importante via di comunicazione della Cassia che sullo sfondo risale fiancheggiata da Palazzo Morucci, oggi sostituito dai nuovi edifici . Al centro la quinta degli edifici religiosi, Chiesa e contiguo convento francescano, che prospettano su un’ ampio e libero slargo, occupato in gran parte dalla sede stradale in terra battuta, protetta da un parapetto verso “Vallesanti”; segue la striscia del sagrato non ancora pavimentato e infine un prato a ridosso del muro di cinta del convento chiuso sulla facciata dello stesso. Nel tenue e vibrato paesaggio d’insieme si nota una certa pratica paesaggistica dell’uomo segnata dalla presenza stilistica di significativi cipressi ed altre piantagioni domestiche sempreverdi.
Il dipinto di Villa Paola, sull’altra parete d’angolo, contiene nella cornice la scritta: VILLA. PAULA.CAPRANICAE con l’allegoria della funzione rurale-agricola della tenuta diocesiana rappresentata da un putto appoggiato con una mano su un cesto dell’abbondanza con frutta, si riconoscono pere e mele, mentre l’altra mano tiene una zucca; al lato opposto un putto con uno strumento appuntito. (Il dipinto misura cm 100x196)
La complessità della veduta d’insieme della proprietà divisa in residenziale e agricola dal muro della corte interna ha indotto l’artista a comporre il dipinto in due parti: a sinistra la veduta prospettica con il palazzo vescovile entro la corte tra due edifici e il prospiciente campo coltivato immersi nel paesaggio, a destra un particolare della facciata della Villa.
Dietro il muro di cinta della corte interna, si vede da sinistra parte del vicino convento, al centro l’edificio vescovile protetto da alberi sempreverdi con annesso manufatto di servizio, la casa del custode, sullo sfondo il dolce paesaggio di campagne e il profilo dei boschi che coprono il declivio di Monte Fogliano parte dell’edificio vulcanico di Vico. In asse con l’entrata della Villa, il muro di cinta si apre, tramite un portalino con archetto, sulla vasta striscia di terreno declinante verso il paese coltivata a “seminativo con vigna” come è possibile distinguere nella tenue e rarefatta trama di filari e coltivi.
Nel particolare della facciata si vede la scala ovale di accesso con il ricco ed elegante portale bugnato e soprastante balconcino loggiato con stemma episcopale; in primo piano l’ornato cortile interno curato a giardino con cipressi, alberi da fiore e una pianta di glicine abbracciata al pozzo “monumentale” con pilastrini in muratura e architrave per la carrucola sormontato, ironia della sorte, da merli ghibellini (imperiali) "a coda di rondine".
La due vedute, come le altre del ciclo, hanno principalmente una funzione celebrativa della rinascita della diocesi e dei suoi beni sotto la ferma guida del suo vescovo Joseph Bernardo Doebbing. Sono un documento rappresentativo fedele ma privo della vita sociale che anima di solito i dipinti, che possiamo, però, cogliere nelle vedute fotografiche del tempo. Il contesto periurbano rappresentato nelle vedute ha, infatti, svolto e svolge un importante funzione sociale e religiosa che è stata all’origine della sua ideazione urbanistica.
La Via della Madonna del Piano, vicende e paesaggio
Veduta del rettifilo dalla Porta di Sant’Antonio, 1909
L’idea tardo-cinquecentesca di tracciare viali rettilinei che congiungano luoghi significativi della città di Roma viene ripresa nel 1582 per tracciare a Capranica una strada che unisse la Porta Sant’Antonio alla Madonna del Piano costruita trent’anni prima. Era la trasposizione, dalla capitale dello stato pontificio ai centri territoriali del Lazio, di un nuova concezione urbanistica partita dal pontificato di Paolo III con il miglioramento della viabilità di Roma per trovare diffusione nei centri minori residenza di famiglie nobiliari che vogliono testimoniare il loro prestigio, nel caso è il Duca di Bracciano Paolo Giordano Orsini. Sono le famose “olmate” , “delizia de’ villeggianti e maraviglia de’ forastieri” , che nelle aree urbane e periurbane diventano costruzioni prospettiche per collegare polarità urbane o monumentali, proprio come aveva voluto Paolo III farnese con il riscoperto percorso dell’antica strada trionfale (Via Triumphalis) che collegava gli archi onorari di Costantino, Tito e Settimio Severo per il viaggio cerimoniale dell’imperatore Carlo V: quel rettifilo per secoli fino alla Roma capitale sarà “l’Olmata di Campo Vaccino”.
Veduta del rettifilo dalla Chiesa verso Porta Sant’Antonio, 1910
Anche per Capranica sappiamo (2) che si voleva il tracciato stradale fiancheggiato da olmi come era in uso in esperienze simili per connotare le zone tra città e campagna strutturanti il paesaggio circostante come avverrà a Viterbo per collegare la città con la Madonna della Quercia, a San Martino al Cimino o in modo sistematico con il barocco intreccio di assi viari e costruzioni prospettiche di “olmate” come a Genzano e Oriolo Romano.
Delle alberature fuori porta abbiamo testimonianza nelle prime fotografie di Capranica degli inizi del ‘900, coincidenti con un periodo di grandi lavori pubblici (3), in cui si vedono le nuove piantumazioni, ancora esistenti, di specie che seguivano i canoni di allora: i lecci per la “lecceta” da sagomare nel piazzale d’ingresso al paese e il duplice filare di Tigli, profumati a inizio estate, lungo il rettifilo di Viale Nardini verso la Madonna del Piano. Pertanto non ci sentiamo di escludere l’ipotesi, come avvenne per molti viali sei-settecenteschi, che gli olmi siano stai effettivamente piantati secondo il progetto originario e successivamente siano stati sostituiti da specie diverse come i tigli. In ogni caso i viali alberati erano diventati sinonimo di “olmate”.
Come per gli archetipi romani farnesiani anche a Capranica viene chiamato l’architetto Giacomo del Duca (4) che aveva lavorato alla sistemazione delle terrazze del famoso giardino degli Horti farnesianisul declivio del Palatino sui Fori. Per realizzare la nuova strada si acquistarono alcuni terreni e si spianò parte della collina diocesana che risale dalla Porta verso la Chiesa come si percepisce dal livello stradale e dall’osservazione delle prime foto del viale.
La nuova strada, soprattutto, oltre al valore estetico e simbolico di rappresentanza, agevolava funzionalmente la comunicazione carrabile e la pratica processionale verso la chiesa della Madonna del Piano che era uno dei centri devozionali della religiosità popolare, vi è ospitato un affresco miracoloso della Vergine, dove arrivano anche oggi le più importanti processioni. Nei secoli successivi la Via si arricchisce di due ville fuoriporta in prossimità dei due poli del rettifilo: nei pressi della Chiesa, in cima al “colle”, la Villa Paola della prima metà del seicento di proprietà della Diocesi di Sutri e, nei pressi della Porta del Paese, la Villa Sansoni già Montenero della metà del ‘700, poi il Palazzo Galeotti del Re. In quest’area suburbana si caratterizza un paesaggio prevalentemente agricolo, di tipo intensivo, e seminaturale, con le proprietà terriere coltivate principalmente a vigneti misti a seminativi, castagneti, orti e piccole corti di prossimità ornate da giardini.
Dal Catasto Gregoriano dei primi dell’800 abbiamo testimonianza descrittiva e geometrica del palinsesto delle coltivazioni nell’ambito periurbano fuori porta: la descrizione del Brogliardo del 1866 ci restituisce il disegno del mosaico dei “generi di coltivazione”.
Quel paesaggio è rimasto pressoché identico sino all’avvento delle fotografie del primo novecento che rendono visibile la prospettiva del viale, accentuata dalla pendenza altimetrica, dove oltre al traffico dei radi mezzi carrabili era divenuto meta della passeggiata fuori porta fino alla piazza della Chiesa, che fungeva da rassicurante quinta spaziale provvista di comode sedute tra le paraste in facciata, e luogo d’incontro di uso popolare in occasione di feste religiose, mercati e fiere.
La funzione sociale della piazza sarà accentuata negli anni venti con la realizzazione di un giardino pubblico interno al lato destro a ridosso del muro di cinta conventuale. Il giardino che lasciava libera la visuale della Chiesa per la sua posizione ritirata consentiva un uso riservato e intimo, luogo di osservazione della scena stradale.
ll quadro ambientale della Via e del colle rimarrà inalterato fino alla metà degli anni ‘50 con l’inizio della lottizzazione delle “case nuove” e la successiva “febbre edilizia” della “Vallesanti” nonché il crescente traffico automobilistico.
Nel dopoguerra con lo sviluppo della coltivazione della nocciola, durante i raccolti autunnali, il piazzale di fronte la Chiesa veniva utilizzato come essiccatoio naturale sotto i raggi del sole vigilato sul posto dai raccoglitori proprietari che muovevano le nocciole*.
Il piazzale della Chiesa interamente ricoperto di nocciole ad asciugare,1975
NOTE
(1) Claudio Canonici, Un vescovo, una cattedrale, un episcopio, in : Museo di Palazzo Doebbing. Conservazione e trasformazione : il progetto, 2018;
(2) Irina Baldescu, Paola Fucà, Tra Porta Sant’Antonio e la Madonna del Piano: vicende di un rettifilo cinquecentesco in : Arte a Capranica dal medioevo al novecento, 2001
(3) Giuseppe Morera, Capranica vista da vicino, s.d.
(4) Irina Baldescu, Paola Fucà
*Amarcord. Conservo ancora il ricordo indelebile di mio padre, allora piccolo commerciate di nocciole, che negli anni ’50 mi portò bambino a fargli compagnia nella lunga giornata di vigilanza seduti nei sedili in facciata. Dopo molte ore si aprì la porticina del convento e un fraticello compassionevole ci rifocillò con pane e formaggio.
Website
Il Museo
“Il palazzo, sede episcopale fino al 1986,dopo anni di abbandono e degrado, è stato oggetto nel periodo 2010/2018 di un lungo ed accurato lavoro di ristrutturazione, voluto dalla Diocesi di Civita Castellana e finanziato dalla Regione Lazio. L'intervento di recupero e trasformazione a Museo realizzato su progetto dell'architetto Romano Adolini, ha consentito la creazione di una struttura espositiva dal fascino antico ma dallo spirito moderno, articolata in varie sale, distribuite su cinque livelli, per una superficie complessiva di circa 1000 metri quadri. Su proposta del sindaco di Sutri, il palazzo è intitolato al Vescovo Doebbing. Nasce il museo di Palazzo Doebbing, la cui forza sarà quella di ospitare capolavori dell’arte antica e contemporanea”
I Dipinti
BeWeB - Beni Ecclesiastici in web
Nel sito è pubblicato l’Inventario dei beni storici e artistici della diocesi di Civita Castellana in cui è possibile consultare le schede d’inventario dei Dipinti di Danti G. del XX secolo.
Angolo dei dipinti capranichesi: Danti G. sec. XX, Dipinto con Figura alataPer citare questo articolo
NOCCHI, Paolo B., «Due vedute della Chiesa della Madonna del Piano e Villa Paola di Capranica nel Palazzo Doebbing di Sutri. Vicende della passeggiata cinquecentesca», Capranica Storica, 02/04/2021 - URL: https://www.capranicastorica.it/?p=947
Questo articolo di Paolo B. Nocchi è distribuito con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Condividi allo stesso modo 4.0 Internazionale.
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