Ed eccoci alla fine del nostro piccolo e insolito
viaggio tra gli animali raffigurati nell’arte capranichese che ci ha condotto a
guardare più da vicino le tre api della famiglia Barberini, i leoni del
portale dell’Ospedale San Sebastiano, la capra simbolo della Città, lo
zodiaco di Palazzo Accoramboni, i mostri e le creature fantastiche rappresentate nella
lunetta dell’Ospedale e nel rosone della chiesa di San Francesco. Ora ci occuperemo
delle anguille della famiglia Anguillara, dell’aquila giovannea, di altri
animali sparsi per varie opere d’arte e… di un gatto. Terza ed ultima parte.
(vai alla prima parte - vai alla seconda parte)
di Fabio Ceccarini
7. Le anguille
Come la capra – di cui abbiamo parlato nella prima parte di questo articolo – rappresenta la città di Capranica, due anguille incrociate rappresentano il casato della famiglia Anguillara. Come è noto, durante il xiv sec. la signoria di Capranica era detenuta dai Conti di Anguillara[1], i quali dovevano possedere già da qualche decennio il suo castrum. Probabilmente da circa il 1260, anno in cui, secondo alcuni autori, Pandolfo ii dell’Anguillara vi trasportò le reliquie di San Terenziano come bottino di guerra della conquista di Todi[2]. Anche se allo stato attuale non è ancora provata in modo certo la loro signoria su Capranica[3], è comunque certamente provato da fonti documentali che lo stesso Pandolfo ii ne conservava il possesso già nel 1281, anno in cui stipulava “in castra Craparice in domo olim Rubei Crescentii castri predicti”, l’atto per l’acquisto del castello di Donazzano[4]. Tuttavia il possesso di Capranica da parte della famiglia, potrebbe risalire già precedentemente al 1243, anno in cui un certo conte Pandolfo è catturato dalle truppe romane che conquistarono Ronciglione e Capranica[5].Ma veniamo alle anguille raffigurate sullo stemma di questo potente casato baronale romano. La famiglia ha origini antichissime che si perdono nel sec. xi, quando la menzione di un tale Guido, Conte di Anguillara, figlio di Bellizone, è contenuta in una pergamena dell’archivio di Santa Maria in Trastevere[6]. Fino al xiv sec., suoi esponenti di rilievo sono il conte Ramone, o Rainone, vissuto durante il xii sec. e il già ricordato conte Pandolfo ii[7]. A parte il fatto che la presenza di nomi di matrice germanica (Bellizone, Guido, Rainone, Pandolfo) induce alcuni storici a ritenere che la famiglia abbia avuto origini longobarde[8], quel che più interessa ai fini del nostro articolo, è che Guido, figlio di Bellizone, affitta il diritto di pesca sul Lago Sabatino, ove intenso era il commercio delle anguille[9]. Se si aggiunge a questo dato storico, l’altro leggendario secondo cui lo stesso Guido avrebbe ucciso, presso Malagrotta, un terribile serpente o un enorme drago, liberando quelle terre dai danni che esso provocava, ricevette per premio da parte del papa tanta terra quanta ne poteva percorrere in un giorno ed il blasone nobiliare[10].
Pertanto, lo stemma della famiglia reca da quel momento due anguille incrociate probabilmente più a ricordo dell’attività di sfruttamento della pesca nel Lago di Bracciano che per la mitica (e quindi dubbia) impresa di Guido. Tuttavia Everso II dell'Anguillara, nel proprio stemma, aggiungerà anche «…un orso o un cinghiale che porta nella bocca un serpente o un’anguilla»[11] forse proprio per rimarcare l'impresa dell'avo. Un suo stemma siffatto è visibile presso la Torre romana che appartenne alla famiglia[12], in Piazza Sidney Sonnino, attualmente sede della “Casa di Dante”. Alcuni riportano inoltre, che Everso contribuì con circa 200 ducati alla fabbrica, cominciata nel 1462, di un braccio dell’ospedale del Salvatore a Sancta Sanctorum e che, per questo motivo, «…i guardiani dell’ospedale vollero affiggere due lapidi sulle pareti del nuovo edificio: e che una di queste, ancora affissa nel muro, verso la piazza, dell’ospedale di S. Giovanni in Laterano ha sopra lo stemma degli Anguillara un cinghiale con in bocca un’anguilla o un serpe, e porta scolpite queste due parole “Everso Secundo”».[13]
Stemma di Everso dell'Anguillara presso San Giovanni in Laterano, a Roma |
Stemma eversiano con le anguille incrociate ed il cinghiale con il serpente, visibile nella sala grande del Palazzetto Anguillara, in Roma (oggi Casa di Dante in piazza S. Sonnino) |
A Capranica possiamo ancora vedere l’arme della nobile famiglia alle due basi del monumento sepolcrale dei conti Francesco e Nicola dell’Anguillara, nella chiesa di San Francesco, e alla base del tabernacolo murale conservato nella chiesa di San Giovanni Evangelista. Non per niente entrambe le chiese erano soggette alla podestà dei rappresentanti della famiglia appartenenti al ramo di Capranica.
Monumento sepolcrale Anguillara nella Chiesa di San Francesco, a Capranica, attribuito a Paolo da Gualdo. Nei sette cerchietti rossi sono visibili altrettanti stemmi Anguillara |
Particolari degli stemmi che fregiano il monumento sepolcrale Anguillara. |
Stemma Anguillara alla base del tabernacolo degli olii santi conservato nella chiesa di San Giovanni Evangelista, a Capranica. Il tabernacolo è attribuito a Mino da Fiesole. |
Altre anguille le ritroviamo di nuovo in un altro stemma Anguillara visibile in un bassorilievo posto a circa 10/12 metri da terra sulla parete sud della chiesa di San Francesco, nel quale è anche riprodotto lo stemma degli Orsini di Pitigliano e Soana e una figura maschile dalla testa enorme e sproporzionata, in atto di toccarsi la regione pubica, di evidente valenza apotropaica-itifallica[14]. Il piccolo fregio, è stato inserito nella parete probabilmente a ricordo del matrimonio celebrato nel 1378 tra Gentile Orsini e Angela degli Anguillara, figlia del conte Francesco e nipote del gemello Nicola, entrambi sepolti nella chiesa.
Stemmi Anguillara (a destra) e Orsini (a sinistra) visibili sulla parete sud della chiesa di San Francesco (lato corso F. Petrarca)
Dal lato dell’araldica, infine, le anguille rappresenterebbero la sedizione, perché durante il momento della loro cattura da parte dei pescatori, nel tentativo di sfuggire al loro destino, gli animali cercherebbero di guadagnare i fondali fangosi, finendo così per intorbidire inevitabilmente l’acqua[15].
8. L’aquila
C’era una volta una pregevole aquila dorata che faceva bella mostra di sé sopra lo scranno del vescovo, nell’ambito del bel coro ligneo della chiesa di San Giovanni Evangelista realizzato dall’ebanista Domenico Giardi[16]. Secondo la tradizione, quella piccola opera d’arte era stata donata alla Comunità di Capranica da Luciano Bonaparte principe di Canino, fratello del più famoso Napoleone, allorché dopo la Restaurazione, proscritto dai Borbone di Francia, fu costretto a stabilirsi definitivamente nella Tuscia, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita dedicandosi all’archeologia e alle lettere[17]. L’aquila fu purtroppo rubata nottetempo in un giorno dei primi anni Ottanta del ‘900, ma ci da’ la possibilità di introdurre il significato di questo maestoso uccello nell’arte.
In una foto del 1940, è ben visibile a destra del coro, la sede del Vescovo. Si vede in alto l'aquila dorata di Luciano Bonaparte. |
Visione di San Giovanni Evangelista nell’isola di Pathmos, Andrea Pozzi (1830), Capranica, Chiesa di San Giovanni Evangelista |
Visione di San Giovanni Evangelista nell’isola di Pathmos, Andrea Pozzi (1830), Capranica, Chiesa di San Giovanni Evangelista, particolare dell'aquila
L’aquila è il simbolo dell’evangelista Giovanni nel tetramorfo. Nella chiesa a lui intitolata a Capranica, la possiamo ammirare nei tondi della volta affrescati dai fratelli Bartoloni, nella mensola del bellissimo tabernacolo[18] murale nella cappella del SS.mo Sacramento e della Madonna Auxilium Christianorum, nonché maestosamente posata con i suoi possenti artigli, sopra alla cantorìa e al cassone dell’organo Morettini. Anche nella bella pala d’altare Visione di San Giovanni Evangelista nell’isola di Pathmos, la troviamo raffigurata accanto all’evangelista Giovanni, che come ricorda la lapide sopra l’ingresso laterale della chiesa, è intento a scrivere il libro dell’Apocalisse[19]. La tavola è stata donata alla Fabbrica dal canonico Vincenzo Scagliosi che la commissionò al Cav. Andrea Pozzi, accademico romano e presidente dell’Accademia di San Luca, il quale la terminò intorno al 1831[20].
La grande aquila dorata che sovrasta il bussolone dell'organo Morettini nella chiesa di San Giovanni Evangelista |
Aquila del tetramorfo apocalittico visibile sulla volta della chiesa di San Giovanni Evangelista (fratelli Bartoloni, 1896). |
Aquila con libro, nella mensola del tabernacolo degli olii santi nella chiesa di San Giovanni Evangelista |
Come il leone è considerato il re degli animali, l’aquila è considerata la regina di tutti gli uccelli. Solo lei è capace di volare così in alto e solo lei è capace di sollevare da terra, strette nei suoi artigli, prede di ragguardevoli dimensioni. Quando è raffigurata ad ali spiegate, queste rappresentano agilità e forza nel superare gli ostacoli. L’aquila è anche figurazione dello Spirito Santo, allorché aleggia sulla creazione del cosmo (Gn 1, 2), come fa questo maestoso uccello per proteggere la nidiata (Dt 32, 11).
Portale Palazzo Petrucci in via degli Anguillara, 4 con stemma della famiglia ed aquila (sotto, particolare) |
In ambito araldico, è possibile vedere l’aquila all’interno dei blasoni della famiglia Petrucci posizionati sopra al fornice dei due palazzi Petrucci in via degli Anguillara (in realtà i palazzi Petrucci sono tre, se si considera anche quello in piazza del Duomo, davanti alla chiesa di San Giovanni, che ospita la Casa della Comunità). Negli stemmi delle antiche casate nobiliari, l’aquila rappresenta l’alto disegno, la grande impresa, la nobiltà dei natali, la grandezza d’animo, l’elevatezza dei pensieri[21]. Di questa antica famiglia, si ricorda in particolare Ignazio Petrucci, protonotaro apostolico e arciprete della collegiata di San Giovanni per 29 anni, e Filippo Petrucci, che nel 1717 venne eletto padre superiore generale della congregazione dei Barnabiti, morto a Capranica nel 1728[22].
9. Un gatto
Aver citato i palazzi della famiglia Petrucci ci da’ l’occasione per parlare di un gatto che è raffigurato in una finta finestra nel palazzo adiacente alla torre dell’Orologio. Non tutti i capranichesi hanno l’abitudine di guardare con curiosità l’ambiente urbano che li circonda. Ma chi ha sufficiente voglia di stupirsi e di meravigliarsi anche delle piccole cose, avrà senz’altro avuto modo di accorgersi che oltrepassando la porta dell’Orologio per entrare nella parte più antica del borgo, se ci si volta a destra e si guarda in alto, fino all’altezza del primo piano del palazzo, si può notare che la finestra immediatamente adiacente alla torre dell’Orologio è murata. Al posto dell’infisso c’è il dipinto delle imposte della finestra, rappresentate appena socchiuse. In basso a destra, compare un gatto che il tempo ha purtroppo piuttosto deteriorato fino a renderlo ormai non riconoscibile.
Finestra finta al primo piano di Palazzo Petrucci di via Anguillara, 4 |
Perché il gatto? Probabilmente solo per motivi giocosi e per rendere più interessante la composizione pittorica. Tuttavia, nell’arte il gatto ha vissuto alterne fortune poiché è passato dall’essere considerato come di natura divina nella cultura egiziana, fino all’essere accomunato alle streghe ed al mondo del diabolico durante il medioevo. Solo a partire dal Rinascimento è tornato finalmente ad essere ritenuto un animale domestico amico dell’uomo e abitante silenzioso e discreto della case. Ed in questo ambito, si sa, uno dei più comuni divertimenti dei gatti è quello di trovare dei nascondigli da dove osservare silenziosamente il mondo che li circonda senza essere a loro volta notati. In questo loro gioco istintivo, i più vari – nonché impensabili all’umana ragione – sono i posti dove i gatti amano celarsi: sugli alberi, negli anfratti naturali che formano le piante, sotto i mobili, fino agli interni degli armadi e addirittura nelle scatole. E quale nascondiglio migliore per un gatto è lo starsene acquattato e sornione su un davanzale di una finestra assistendo con felina sufficienza, non visto, al passare di ignari e stupidi umani?
10. Altri animali
E terminiamo la nostra passeggiata con una breve carrellata fotografica di altri animali nascosti nell’arte della nostra piccola-grande galleria museale all’aperto (o al chiuso) che è la nostra cittadina.
Gallo, cappella della Santa Croce, chiesa di San Giovanni Evangelista |
La pecten, la conchiglia, chiesa della Madonna del Piano, altare maggiore |
La pecten, la conchiglia, chiesa della Madonna del Piano |
Timpano del tabernacolo degli olii santi di San Giovanni Evangelista (cappella del SS. Sacramento), colomba dello Spirito Santo e festone con passeri piluccanti i frutti. |
NOTE AL TESTO
[1] Sui Conti di Anguillara, v. la seguente bibliografia classica: COLETTI, G., «Regesto delle Pergamene della famiglia Anguillara», ASRSP (Archivio Storico della Società Romana di Storia Patria), x (1887), 241-285; SORA, V., «I Conti di Anguillara dalle loro origini al 1465», ASRSP, xxix (1906), pp. 397-442; xxx (1907), pp. 53-118; ARTIOLI, R., «La famiglia dei Conti Anguillara in Roma», Giornale – araldico – storico – genealogico, i (1912), pp. 45-74; Dizionario Biografico degli Italiani, artt. «Anguillara, Deifobo», «Anguillara, Dolce», «Anguillara, Everso», «Anguillara, Francesco», «Anguillara, Pandolfo»; SIGNORELLI, M., Le famiglie nobili viterbesi nella storia, Genova 1969; SCANO, G., «Altri documenti Anguillara nell’Archivio Capitolino», ASRSP, xcviii (1975), pp. 240-242; CAROCCI, S., Baroni di Roma. Dominazioni signorili e lignaggi aristocratici nel Duecento e nel primo Trecento, École française de Rome e Istituto storico italiano per il Medio Evo, Roma 1993, pp. 299-309; SANTONI, P., «Un documento inedito di Pandolfo II Anguillara: l’acquisto del “Castrum Donaççani” in Diocesi di Sutri», ASRSP, cxvi (1993), pp. 113-120. Su questo sito sono stati ospitati i risultati delle ricerche di Carlo Maria D’Orazi sulla famiglia: D'ORAZI, C.M., «La figura del viceconte della famiglia degli Anguillara in Bassano Romano nel XIV secolo»; D'ORAZI C.M., «La rocca di Capranica: una ipotesi ricostruttiva»; D'ORAZI, C.M., «Jacobo Longo armigero del Conte Everso degli Anguillara, originario del Castro di Monte Carlo»; D'ORAZI, C.M., «I dipendenti e gli amici dei Conti Francesco e Nicola degli Anguillara a Capranica alla fine del XIV sec. - 2^ parte»; D'ORAZI, C.M., «I dipendenti e gli amici dei Conti Francesco e Nicola degli Anguillara a Capranica alla fine del XIV sec. – 1^ parte». Infine, si segnala che sono in corso di pubblicazione da parte del Comune di Capranica, gli atti del convegno sulle signorie della Tuscia, tra le quali la famiglia Anguillara, svoltosi a Capranica, Chiesa di San Francesco, il 4 settembre 2021.
[2] Cfr. CHIRICOZZI, P., Le Chiese di Capranica, Romagrafik, Roma 1983, p. 93; id. 1985, p. 30; MORERA, T., Capranica nella storia e nell’arte, Athena, Roma 1994, p. 7.
[3] Cfr SERCIA, G., La pretesa feudalità, cit., pp. 4-5. Secondo l’Autore, «…nessuna notizia si ha (…) della infeudazione di Capranica agli Anguillara…», per cui «…è facile dedurre che gli Anguillara si impadronirono di Capranica con gli stessi sistemi e mezzi, con i quali avevano conquistato gli altri borghi e tenimenti…», nonché il loro dominio su Capranica «…fu tollerato dalla comunità per forza maggiore, e dalla Chiesa anche per forza maggiore, non essendo questa in condizioni di tutelare efficacemente i suoi diritti…». Sulla stessa linea è CHIRICOZZI, P., Le Chiese, cit., che però, nell’affermare che gli Anguillara avrebbero usurpata la signoria di Capranica (p. 16) durante i primi anni della permanenza dei papi ad Avignone (p. 58), segue probabilmente il Sercia, che riporta in bibliografia. CAROCCI, S., Baroni di Roma, cit., p. 304, infine, ipotizza che la famiglia non sia nemmeno appartenuta al circuito della grande aristocrazia romana, stante «…il totale silenzio mantenuto dai ricchi cartari monastici romani sulla presenza di qualsiasi possesso urbano o suburbano dei conti; (…) l’assenza, davvero inspiegabile, di personaggi di tale levatura fra i senatori del Duecento; infine, ancor più sorprendente, la mancanza degli Anguillara dalla lista dei barones Urbis compilata nel 1305…»
[5] Cfr. EGIDI, P., «Le cronache di Viterbo scritte da frate Francesco d'Andrea», ASRSP, xxiv (1901), p. 309: «Havendo li Romani sentito come lo imperadore s’era partito da Viterbo, vennero in adiutorio della Chiesa, et pigliarno Crapalica, e disferno Ronciglione, et pigliarci el conte Pandolfo et mandarlo prigione ad Roma, et poi pigliarno Vico.». Secondo l’Egidi, non vi sono dubbi che il Pandolfo di cui si parla «…sia da identificare col padre del Pandolfo dell’Anguillara che nel 1264 a capo de’ guelfi si oppose a Pietro (iv) da Vico e ne fu sconfitto e preso prigioniero presso Vetralla» (ivi, p. 309, nota 4).
[7] E’ da ricordare che presso l’archivio comunale di Toscanella – l’attuale Tuscania – era conservato l’albero genealogico della famiglia Anguillara. Cfr. SORA, V., «I Conti di Anguillara», (1906), cit., p. 404, nota 4.
[9] Cfr. SIGNORELLI, M., Le famiglie nobili viterbesi nella storia, ed. Vittorio Guelfi Camajani, Genova 1969, p. 69
[10] Cfr. ARTIOLI, R., «La famiglia dei Conti Anguillara in Roma», Giornale – araldico – storico – genealogico, I (1912), pp. 45-74. La notizia di cui parliamo è riportata a p. 48
[11] Cfr. Sora V., «I Conti di Anguillara», cit., ASRSP, xxix (1906), p. 402. Signorelli M., Le famiglie nobili viterbesi, cit., p. 68, riferisce, inoltre, che «il celebre Everso vi inserì anche l’orso con l’anguilla in bocca, quale riferimento all’acquisita parentela con gli Orsini».
[12] Cfr. Cusanno A.M., «Contributo alla conoscenza dell'originario complesso edilizio degli Anguillara in Trastevere», Bollettino d’Arte, Serie vi - lxxv (1990), p. 87, fig. 21. Lo stesso stemma, posizionato sopra la cappa di un caminetto, è riportato a p. 86, fig. 20, nella riproduzione particolare di alcuni elementi architettonici del palazzo anguillaresco, dal rilievo eseguito nel 1896.
[13] Cfr. ADINOLFI, Laterano e via Maggiore, Roma 1856, p. __. La descrizione dello stemma di Everso non è però chiarissima e può trarre in inganno perché farebbe pensare a un unico stemma in cui, nella parte inferiore, starebbero le anguille incrociate, e nella parte superiore, il cinghiale con in bocca la serpe o l’anguilla. In realtà, lo stemma di Everso altro non è che lo stemma Anguillara nella versione visibile sul sepolcro dei Conti Gemelli in San Francesco, dove, in luogo del cimiero che sorge dalla parte superiore dello scudo, è rappresentato un cinghiale. Poiché anche Vincenzina Sora, citando l’Adinolfi, riprende la sua descrizione dello stemma… si potrebbe esser tentati di pensare che non abbia mai visto dal vero lo stemma di Everso. Cfr. anche Sora V., «I Conti di Anguillara», cit., ASRSP, xxx (1907), p. 86.
[14] CECI, F. – D’ORAZI, C.M., «Viva gli Sposi!», Medioevo, XVI, n.1 (183), aprile 2012, pp. 104-109.
[15] GINANNI, M.A., L'arte del blasone dichiarata per alfabeto, Venezia, Guglielmo Zerletti, 1756, p. 27
[16] Cfr. CECCARINI, F., Dio fa casa con l’uomo. La Collegiata di San Giovanni Evangelista in Capranica nel bicentenario della sua fondazione, Effeci, Capranica 2001, p. 97
[18] Su questo tabernacolo, tutta la seconda parte del saggio CECCARINI, F., Dio fa casa con l’uomo. La Collegiata di San Giovanni Evangelista in Capranica nel bicentenario della sua fondazione, Effeci, Capranica 2001,
[19] Il testo della lapide è il seguente: tabvla.in.altari.maximo.proposita / ioannem.apostolvm.referens / apocalypsem.in.insvla.pathmos.describentem / mvnificentiæ.debetvr.vincentI.scagliosi / sacerdotis.olim.hvivs. ædis.canonici / doctoris.theologlex.officialibvs.primis / per.annos.xxviii / cardinalis.summi.admnistri.negotivs.pvblicvs.cvrandis / qvi.comitate.prvudentia.morvm.integritate / carvs.omnibus / romæ.pie.decess.v.kal.mart.an.m.dccc.xxxi / ætatis.lxviii
[20] Cfr. JERVIS, A.V., «Andrea Pozzi
Pittore accademico nella Roma del primo Ottocento», Studi di Storia dell’Arte,
5/6 (1994/95), pp. 249-184, in particolare p. 254, p. 260, note 61 e 106. Il
pittore in due lettere indirizzate al poeta reatino Angelo Maria Ricci tra il
dicembre del 1830 e il gennaio del 1831, scrive di essere intento nella
produzione della tavola dell’Apocalisse ospite dello studio del suocero, lo
scultore Antonio D’Este. La tavola rimase in mostra per qualche tempo prima di
essere consegnata alla Fabbrica di San Giovanni Evangelista. E’ interessante
ricordare che Antonio D’Este aveva avuto lo studio in eredità dal Canova dopo
una lunga causa vinta contro il fratello del grande scultore e che nell'altare del Santissimo i due grandi angeli oranti ai lati dell'immagine della Madonna Auxilium Christianorum provengono proprio dalla bottega romana del Canova.
[22] MORONI, G., Dizionario di Erudizione Storico-Ecclesiastica, t. 102, voce «Viterbo», p. 65
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CECCARINI, Fabio, «Di api, di leoni, di capre e di creature fantastiche. Bestiari urbani capranichesi e dove trovarli. 3^ parte», Capranica Storica, 30/06/2022 - URL: https://www.capranicastorica.it/2022/06/di-api-di-leoni-di-capre-e-di-creature_086807956.html
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